Milioni di persone che oggi si collegano a Internet lo fanno spesso per cercare di individuare sintomi e malattie che li affliggono o per chiarire i propri dubbi a proposito di diagnosi e terapie ricevute dai loro medici curanti. Non è lontano forse il momento in cui anche gli specialisti della salute potrebbero rivolgersi alla Rete nella speranza di ricavarne un aiuto, quando devono formulare diagnosi per casi clinici che si presentano ai loro occhi particolarmente difficili, in quanto particolarmente complicati o rari. I milioni di informazioni (si calcola possano essere tra 2 e 3 milioni) contenuti d’ordinario nella loro mente potrebbero venir supportati dalla moltitudine di altri dati interessanti e in continuo aggiornamento che vengono incessantemente riversati in Internet. È questo ciò che emerge da uno studio pubblicato qualche tempo fa sul British Medical Journal ma sempre valido, compiuto da due medici australiani, Hangwi Tang e Jennifer Hwee Kwoon Ng, i quali hanno saggiato la funzione di “sistema di aiuto alla diagnosi” che potrebbe venire esercitata dal motore di ricerca Google. I due autori hanno selezionato dalla rubrica delle storie cliniche del New England Journal of Medicine 26 casi, studiati e analizzati solo per quel che riguardava la descrizione del quadro clinico, restando all’oscuro delle diagnosi formulate. Hanno poi individuato per ognuno di questi casi dalle tre alle cinque espressioni-chiave relative alle manifestazioni cliniche più tipiche e le hanno sottoposte al motore di ricerca. Quindi hanno consultato i primi 30 documenti presentati da Google, selezionando la diagnosi che appariva la più frequente di tutte. Infine non è restato loro che confrontare la diagnosi reale di ogni storia presentata sul journal con quella derivata dalla consultazione di Google. Di 26 casi selezionati, Google ha consentito di riconoscere correttamente le patologie 15 volte, ovvero una quota pari al 58%: e non sono comprese in questo computo le situazioni in cui il motore di ricerca era giunto a suggerire diagnosi troppo generiche, per quanto sostanzialmente corrette. Ciò significa, a parere dei due autori, che «una ricerca basata sull’uso del Web potrebbe aiutare i medici a diagnosticare i casi difficili». Esiste il pericolo che anche il pubblico privo di conoscenze mediche possa giungere allo stesso risultato? Secondo Tang e Ng questa eventualità è straordinariamente remota, perché alla riuscita del test hanno contribuito in maniera non secondaria la loro elevata competenza clinica (uno è uno specialista neurologo, l’altra una reumatologa) e la loro esperienza quotidiana. Il segreto sta nello scegliere parole-chiave adeguate, composte talora da “espressioni statisticamente improbabili” e da termini altamente specialistici. Una capacità che ben difficilmente si ritrova in soggetti privi di una specifica educazione in medicina.
Ancora una volta va ribadito che la preparazione e l’iscrizione all’ordine dei Medici è fondamentale per essere “indirizzati” correttamente nella formulazione di una diagnosi.
Su cose importanti il WEB può non essere fonte principale!
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