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La Grandine e gli uomini nuvola

La culla preferenziale della grandine è il cumulo-nembo una nube temporalesca agitata da violentissime correnti ascendenti e discendenti che si spostano vorticosamente ad una velocità di oltre 100 km orari. Animate da questi turbini, le goccioline di acqua appena condensata dal vapore vagante nell’atmosfera vengono innalzate rapidamente e portate in pochi attimi a quote in cui la temperatura è molto più fredda (fino a 25 °C sotto zero). L’improvviso abbassamento di temperatura le trasforma in aghi di ghiaccio, che continuano poi a scendere e a salire velocemente, arricchendosi ogni volta di nuova acqua in basso che diventa immediatamente ghiaccio alle quote superiori. Il chicco si arricchisce così di nuovi strati biancastri e continua a farlo fino a quando il suo peso diventa tanto grande da precipitare al suolo. Si calcola che un chicco di grandine di mezzo centimetro di diametro equivalga a un migliaio di gocce di pioggia.

Li chiamano “uomini nuvola”. Il loro lavoro consiste nell’aggredire le nuvole per interrompere i procedimenti di formazione della grandine. Vivono in aeroporto, come se fossero in servizio di guerra. Quando il radar segnala l’avvicinarsi di un temporale pericoloso saltano a bordo degli aerei appositamente attrezzati, raggiungono le nubi e sparano raffiche di proiettili che scoppiando sprigionano ioduro d’argento, un gas capace di far sciogliere i chicchi di ghiaccio. Negli Stati Uniti le squadriglie antigrandine sono numerose e stazionano lungo la fascia temperata, la più minacciata dal flagello. Hanno a disposizione aeroplani a elica, e aviogetti leggeri, del tipo usato dalle Forze Armate per l’addestramento. Con i primi attaccano i temporali a bassa quota; con i jet salgono invece fino a 8-9 mila metri. L’intervento presuppone una scelta di tempo perfetta. Il gas riesce a decongestionare la nube, a bloccare la formazione dei chicchi trasformandoli in pioggia o in frammenti tanto piccoli da risultare inoffensivi. Mentre i jet sparano vere e proprie raffiche di colpi, i velivoli a elica si limitano invece a “seminare” le nubi di ioduro d’argento, liberandolo attraverso una rastrelliera di tubi diffusori sistemata sotto le ali o sui loro montanti. L’esperimento è stato fatto anche in Italia. Difendere con questi mezzi una regione come il Piemonte costa mediamente 250 mila euro l’anno; rinunciarvi vuol dire esporsi a un rischio di danni per 8 milioni di euro. Le squadriglie antigrandine rappresentano per ora il sistema più efficace per difendere i raccolti dalla pioggia di ghiaccio. È la fase più recente, ma sicuramente non l’ultima, di una guerra contro la natura nella quale l’uomo è sempre stato sconfitto. Quando il cielo si riempie di nubi nere, di solito in estate, può capitare il finimondo. In pochi attimi cadono tonnellate e tonnellate di ghiaccio, distribuite in chicchi che trapassano come proiettili le colture nella fase più delicata della maturazione. Oltre ai danni immediati, bisogna tener conto di quelli a lungo termine: le piante da frutta ne risentono per anni. In Italia la grandine arriva una settantina di volte l’anno. Le grandinate più distruttive spazzano la Pianura Padana e le Alpi occidentali; in autunno colpiscono la Sicilia, proprio in tempo per danneggiare gli agrumi. Nel nostro Paese i danni provocati dalla grandine si aggirano fra i 250 e i 300 milioni l’anno. In Piemonte, una delle regioni più colpite, oscillano fra gli 8 e i 10 milioni. Verso il 1950, specialmente nella Pianura Padana sorsero numerose stazioni lanciarazzi, dislocate lungo cinture di sicurezza nelle zone più esposte. A sparare i razzi erano gli stessi contadini, che quasi sempre però si lasciavano prendere dal panico per i raccolti e trasformavano ogni temporale, anche il più leggero, in un’occasione per una costosa ma quasi sempre inutile manifestazione pirotecnica. Appena ci si rese conto che era difficile centrare le nubi, i razzi caddero in disuso e con essi anche le speranze di predisporre difese efficaci contro la grandine. Nel 1957 si è scoperto che l’ioduro d’argento, introdotto nelle zone più basse e quindi meno fredde delle nubi, trasforma immediatamente l’acqua in minuscoli cristalli di ghiaccio, che cadendo non riescono a entrare nel ciclo che li trasformerebbe in chicchi di grandine. Nello stesso tempo i cristallini degli strati superiori, precipitando in zone d’atmosfera povere di vapore acqueo, non possono più ingrossarsi. Con questo gas si può cioè “mungere” la nube, svuotandola della sua carica micidiale.



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