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24th
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Il restauro della “storia della salvezza” nella chiesa di San Policarpo

La chiesa di San Policarpo nel quartiere Appio Claudio di Roma fu costruita tra il 1964 e il 1967 ai limiti dell’attuale Parco degli Acquedotti in una zona a forte sviluppo abitativo.

Situata in uno dei posti più suggestivi e carichi di storia del paesaggio romano, si chiude completamente all’esterno, interpretando il suo ruolo di baluardo. Per la Capitale si tratta di uno degli esempi di architettura sacra più riusciti negli anni Sessanta, capace di realizzare una valida sintesi di stili, citando e trasformando varie forme tradizionali di architettura religiosa (chiesa a pianta centrale rinascimentale, sviluppo verticale del tiburio e della lanterna, uso di materiali tradizionali romani, vetrate slanciate verso l’alto). Il materiale usato (marmo peperino e mattoni rossi) per l’edificazione delle pareti è in armonia con quello utilizzato dai Romani per la realizzazione degli attigui acquedotti e in particolare con quello di Claudio.

Progettata dall’ingegnere-architetto Giuseppe Nicolosi, che disegna una fabbrica che si impernia intorno alla figura geometrica dell’esagono e dei triangoli equilateri che lo compongono, dove sono impostate due diverse strutture: una interna in cemento armato che sostiene la copertura, l’altra di chiusura perimetrale, in muratura autoportante rivestita all’esterno con blocchi squadrati di peperino alternati a ricorsi di mattoni, capaci di configurare la forma urbana, alta, possente, solitaria, dell’edificio.

La Cappella Feriale e la Storia della Salvezza

La Cappella minore, o Feriale, della chiesa di San Policarpo sviluppa un’aula quasi rettangolare lunga e stretta, coperta da unica falda fortemente inclinata, che prende luce da due asole sottili orizzontali aperte lungo i lati maggiori di diversa altezza della stessa cappella. Un controsoffitto orizzontale non chiude totalmente l’ambiente, lasciando libere le pareti laterali e le asole.

L’intera parete lunga di sinistra della Cappella annovera un’opera di straordinaria complessità e dimensione (1.300 x 500 cm) realizzata con la tecnica dell’olio su muro,da Ugo Bernetti Da Vila nel 1981 e raffigurante la Storia della Salvezza, lo svolgersi e compiersi nel tempo del disegno di amore da parte di Dio per l’umanità.

La Storia della Salvezza non è una storia parallela a quella profana, è la storia narrata nei libri sacri, dove la fede fa scoprire l’impronta di Dio, il suo piano di salvezza a favore dell’umanità. È una storia dentro la storia che solo Gesù ha potuto decifrare e che lo Spirito Santo ispiratore delle Scritture ha insegnato alla Chiesa.

La storia è contenuta nella Bibbia e non è soltanto una serie di episodi raccontati in forma di cronaca slegati fra loro, è invece un insieme di avvenimenti selezionati per il loro significato religioso teologico che lo Spirito Santo ha ordinato per mostrare come Dio ha agito logicamente all’interno di essi per realizzare un progetto di salvezza.

Il giorno di Pasqua, Gesù risorto compare agli apostoli e insegna: “Sono queste le parole che io vi dissi, quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi. Allora aprì la loro mente a comprendere le Scritture. Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà da morte il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme” (Lc 24,44-47).

È l’inizio di quella lettura unitaria della Bibbia che contiene la rivelazione completa di Dio. Il Dio della Bibbia è il Dio della storia: egli si rivela dentro gli avvenimenti storici e attraverso di essi. Qui incontra l’uomo e lo chiama a costruire storia con lui. Dio e l’uomo si incontrano e interagiscono.

Gli autori biblici operano una straordinaria rivoluzione culturale con la loro fede nel Dio che agisce nella storia. Egli si era rivelato così a Mosè: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Ho udito e osservato la miseria del mio popolo in Egitto, sono sceso per liberarlo” (Es 3,6-8). In quella circostanza egli rivelò a Mosè il suo nome ineffabile: “Io sono colui che sono”, cioè il Dio presente nella storia, Jahweh (colui che è sempre presente) (Es 3,14-15).

Dopo il peccato originale che introdusse nel mondo la maledizione e distrusse la felicità dell’uomo, scattò la benedizione di Dio che avviò la storia della salvezza: Dio maledì il serpente, figura del demonio, con queste parole: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe (zerà): questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gn 3,15). Questa lotta impari è attesa e realizzata lungo i secoli nello scontro tra il bene e il male, il peccato e la grazia. Nella sua fase finale è descritta dalla Apocalisse che presenta la Donna ormai divenuta Chiesa.

Qui vi sono sottolineati gli elementi che fanno evidente riferimento alla promessa di Dio ai progenitori: la donna contemplata nella luce di Dio (vestita di sole); il drago; il serpente che tenta di assalire la donna e divorare il figlio (la sua stirpe: zerà) senza riuscire nel suo intento (insidia il calcagno). Il figlio dal suo trono nel cielo invia Michele e i suoi angeli e sconfigge definitivamente il serpente (gli schiaccerà la testa).

Luca ci narra l’annunciazione a Maria, una vergine di Nazaret, sposa di Giuseppe della famiglia di David; l’angelo Gabriele, inviato da Dio, le aveva detto: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce, lo chiamerai Gesù” (Lc 1,30-31). Era un’eco della benedizione-promessa pronunciata da Dio agli inizi dell’umanità: finalmente la donna benedetta, che con il suo frutto del suo grembo, vincerà il male, è arrivata e si chiama Maria.

A questa scena ben conosciuta si era ispirato Giovanni nell’Apocalisse, nel presentare la Chiesa, come la donna incinta che partorisce Cristo al mondo in ogni epoca, riaccendendo la lotta tra il demonio e l’umanità dei salvati era un aggiornamento della promessa divina fatta da Dio ai progenitori nel momento in cui lasciavano il Paradiso creato per loro. L’Apocalisse vuole ripresentare quel Paradiso come compimento di un lungo viaggio umano che da lì era partito e lì ritornava. Così l’ultimo libro della Bibbia ci riporta al primo, dove era descritto il giardino dell’Eden luogo della vita e della felicità (Gn 2,4-25).

Alla sua morte Gesù ebbe in prestito da un ricco uomo di Arimatea (Mc 15,43-46) il suo sepolcro nuovo “con il ricco fu il suo tumulo” e il terzo giorno risuscitò: “Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce”.  Quel suo sangue sparso per tutti in remissione dei peccati (Mt 26,28), gli ha guadagnato una moltitudine di seguaci: “Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me” (Gv 12,12).

Dopo la Pasqua del Signore, l’umanità ritrova nella speranza il suo paradiso perduto, ancora più splendido e felice di quello lasciato da Adamo ed Eva. Sarà la terra della vita senza fine, perché non vi sarà più morte, né lutto, né lacrime. Come un tempo Dio viveva con i primi uomini, ora tornerà a vivere ed abitare con loro.

La storia biblica è fatta da Dio e dagli uomini: le attività dei due si intersecano e si incontrano. La Bibbia non ci dice chi è Dio ma che cosa fa Dio: e la prima cosa che Dio fa è quella con cui egli stesso ama presentarsi, è il suo “esserci”. L’autorivelazione di Jahweh fa leva sulla sua presenza nel mondo accanto all’uomo: “Io sono colui che sono”, cioè Dio presente nella storia “Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe”, Jahweh (colui che è sempre presente), una presenza che ha i caratteri della continuità e della prossimità: “Io sono colui che c’ero, che ci sono e che sarò con te”). Questo tratto caratteristico di Dio viene spesso manifestato nell’Antico Testamento dall’immagine detta “gloria del Signore”, mentre nel Nuovo Testamento nella persona di Gesù. C’è quindi nella Storia un presente, un passato e un futuro. La storia nella Bibbia non è più cronaca, semplice susseguirsi di fatti, di opinioni o di personaggi, ma la concretizzazione del rapporto Dio-popolo d’Israele con un preciso disegno salvifico da parte di Dio.

Descrizione dell’opera

La grande opera raffigurante la Storia della Salvezza posta nella cappella Feriale della chiesa di San Policarpo sintetizza tutto questo, partendo dal peccato originale per giungere a Gesù risorto e quindi alla grazia, dove non mancano profeti, apostoli, migranti, vizi capitali. 

Sotto un cielo plumbeo rischiarato timidamente da una biancastra luna piena posta in alto al centro della composizione, sullo sfondo si trova un paesaggio costituito da montagne aride prive di vita. Più in basso, nel registro centrale, in lontananza si scorgono le sagome di città mediorientali e della città santa di Gerusalemme, da dove emergono cupole con calotte semisferiche e svettanti minareti.

Distribuite nella composizione si trovano mura di recinzioni divelte, migrazioni di genti (fuga dall’Egitto del popolo d’Israele) a piedi e in groppa a cammelli, greggi di pecore, cervi, cani, alberi, piante di fichi d’india, anfore, ampolle, cesti colmi di frutta, uno con uva bianca, rossa e nera.

La narrazione inizia dal Peccato Originale, nell’angolo alto di sinistra, dove Adamo ed Eva sono posti nudi su di una svettante rupe. Al centro della composizione, seduto su una roccia (trono di gloria), Mosè con folta barba bianca li indica con l’indice della mano destra, mentre contestualmente con la sinistra tiene il libro sacro, cioè il rotolo scritto all’interno e all’esterno, chiuso ermeticamente da sette sigilli di ceralacca come i documenti diplomatici del tempo. Nessuno è in grado di aprire quel rotolo misterioso. Si tratta del libro del progetto misterioso di Dio, ormai completo (scritto dentro e fuori) con la venuta degli ultimi tempi.

In basso, a sinistra, i vizi capitali materializzati da figure nude, orribili e deformi. Sempre in basso, ma in posizione centrale, un militare romano (simbolo del potere politico militare che ha condannato Gesù) riconoscibile dalle vesti e dall’armatura (gladio e scudo) sdraiato con accanto una donna nuda appena velata da un etereo tessuto celeste.

Accanto scrittori umani che in epoche diverse ispirati dallo Spirito Santo hanno trascritto la Storia della Salvezza, in uno c’è scritto “Geremia”; in un altro c’è scritto “Il libro di Giacobbe”.

La lunga storia si conclude all’estrema destra dove è presente la figura maestosa di Gesù risorto. Posto in piedi sulle pietre sagomate del sepolcro aperto, Gesù con braccia aperte, capelli e barba fulva, coperto con manto, tunica e veste di colore rosso e bianco, con volto serafico ma imperante, occhi penetranti, bocca socchiusa da cui sembrano uscire parole rivolte ai discepoli, tra questi Pietro inginocchiato, riconoscibile dalla chiave a terra.

I Restauri dell’Istituto Restauro Roma

Grazie alla convenzione attivata tra la Chiesa di San Policarpo, parroco Don Claudio Falcioni, e l’Istituto Restauro Roma, Direttore Roberto Luciani, la vasta opera che nel tempo aveva perduto alcuni settori della pellicola pittorica presentando inoltre ridipinture poco scientifiche, è stata restaurata dal gennaio all’aprile 2025 dagli studenti dell’Istituto Restauro Roma coordinati da Docenti-Restauratori della stessa Facoltà. Più precisamente si è trattato degli allievi frequentanti il 2 e 3 anno accademico del percorso PFP1 (Materiali lapidei derivati e superfici decorate dell’architettura).

L’intervento di restauro è consistito essenzialmente nella rimozione di materiali sovrapposti nel corso dei precedenti interventi, come depositi superficiali, scialbature manutentive, vernici protettive finali, stuccature e ridipinture; il consolidamento dei materiali costitutivi del supporto e della pellicola pittorica; la reintegrazione cromatica delle lacune della pellicola pittorica con materiali reversibili e tecniche riconoscibili.

Con l’intervento di restauro appena concluso, la straordinaria opera realizzata con la tecnica dell’olio su muro da Ugo Bernetti Da Vila nel 1981 raffigurante la Storia della Salvezza è tornata allo splendore iniziale.



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